martedì 28 gennaio 2014

Serge Latouche - La scommessa della decrescita

Serge Latouche, oltre che economista e filosofo, è un saggista che spacca la critica.
Come antagonista della Religione della crescita e di tutte le estremizzazioni del sistema economico occidentale, il suo nome compare spesso accanto alla parola Decrescita, un movimento che sta acquisendo grande visibilità a livello internazionale. Per quanto si sia in sintonia o meno con il suo pensiero, La scommessa della decrescita, offre spunti interessanti sulla condizione della società moderna e la sua ineluttabile natura economica.

Latouche apre il saggio parlando di Religione della crescita; una dimensione in cui si è felici quando i Media annunciano la ripresa americana o asiatica con toni trionfalistici, mentre ci si angoscia quando le notizie economiche non sono incoraggianti. Una cosa che conosciamo bene in Italia, dove l'andamento dello Spread, da un paio di anni, è diventato un argomento quotidiano di conversazione.
In una società che ci aggiorna quotidianamente sulla ripresa dei consumi e sul numero di disoccupati, parlare di decrescita diventa un argomento critico perché urta la sensibilità di chi beneficia dei vantaggi di questo sistema e di chi desidererebbe accedervi e non può. Eppure quello della decrescita è un argomento di stretta attualità perché incrocia le problematiche sociali a quelle ambientali, cercando di delineare una prospettiva realizzabile di cambiamento sociale attraverso l'impegno e la reciprocità. 
Latouche per spiegare il disequilibrio sociale cita le parole del diplomatico iraniano Majid Rahnema: "una società incapace di permettere alla maggioranza dei suoi membri di guadagnarsi da vivere con un lavoro onesto e che li condanna, per poter sopravvivere, ad agire contro la propria coscienza facendone dei complici della banalità del male, è una società profondamente in crisi".
Per Latouche la decrescita non vuole essere un ritorno al passato, ma un adeguamento delle nuove tecnologie alla sostenibilità mondiale; la proposta è quella di sostituire il proprio stile di vita con uno meno stressante; lavorando, producendo e consumando meno, in modo da rallentare la folle corsa dell'ultra-consumismo. Si devono utilizzare con sapienza le tecnologie per non scadere nel paradosso di Jevons, secondo cui, le tecnologie efficaci hanno come risultato un aumento esponenziale dei consumi (emblematico è il boom demografico dell'epoca termo-industriale che ha decuplicato la popolazione mondiale da 600 milioni a 6 miliardi di individui, per mezzo dell'energia "abbondante" e a buon mercato).
La società proposta da Latouche deve attraversare una rivoluzione culturale che contrasti le armi della manipolazione mediatica e dell'educazione al consumismo quotidiano, che sono una droga e non una scelta individuale.
La rivoluzione deve basarsi sulla convivialità tra individui, sull'autonomia produttiva e sulla sobrietà, per costruire il buon senso del domani, dato che il buon senso di ieri non è adattabile all'oggi. Nella pratica questo messaggio si traduce nella ri-localizzazione delle attività per abbattere costi e trasporti, nella riduzione dei consumi non indispensabili, nel riutilizzo e nel riciclo di quanto viene prodotto dalla attività umana, ma soprattutto nella reciprocità.
Infine Latouche spiega che questa rivoluzione non va imposta nella testa dei figli, ma mostrata e insegnata, riponendo fiducia in loro, affinché siano loro a trovare la strada.

Quella di Latouche è una bella utopia, e anche se lontana dalla realizzazione, traccia un percorso alternativo a cui in molti stanno aderendo con azioni concrete. La consapevolezza dell'assurdità di certe logiche di consumo diventa il primo passo verso un cambiamento individuale e sociale.


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