martedì 11 febbraio 2014

Il piatto piange - Articolo di Joel Bourne (National Geographic Italia giugno 2009)

In questo mondo sempre più interconnesso, la marcia della civilizzazione globale sembra non conoscere pausa. Ogni segno di rallentamento, che può essere causato da una calamità naturale, diventa una sciagura perché rallenta la spinta economica. Così è per la produzione alimentare che non può e non deve conoscere sosta. 

L'articolo pubblicato su National Geographic cinque anni fa ricorda che la domanda di cibo globale sta superando l'offerta, soprattutto in quelle regioni in cui il 50-70 % del reddito viene speso per la sussistenza quotidiana.
Il cibo ha da sempre accompagnato la storia dell'uomo, sia quando ne ha promosso lo sviluppo sociale, sia quando ne ha decretato il declino.
Benessere perseguibile e realizzabile a tutti i costi o austerity e controllo sulle risorse? Questa domanda ruota attorno al pomo della discordia che prende il nome di Malthus, pastore anglicano e matematico che, scontrandosi contro la fiducia illuminista della sua epoca, ammoniva che, in assenza di controlli positivi o preventivi, la popolazione cresceva esponenzialmente rispetto alla produzione agricola (la prima cresceva geometricamente, la seconda aritmeticamente). Con il Saggio sul principio di popolazione del 1798, Malthus professava come fosse indispensabile il controllo sulla crescita della popolazione per scongiurare le future difficoltà nella sussistenza. Il suo pensiero viene duramente colpito e travolto dalla Rivoluzione Industriale e dal Positivismo che ne spazza via le teorie. Col Novecento e la Rivoluzione Verde, Malthus, oltre che inattuale, diventa un fantoccio che aveva paventato un destino impossibile per l'umanità.
Eppure, duecento anni dopo e con sei miliardi di abitanti in più sulla terra la sua figura aleggia ancora nei discorsi degli economisti. La produzione alimentare è sempre stata in crescita da allora, le tecniche e le innovazioni hanno portato a risultati sorprendenti, accelerando la produzione a ritmi vertiginosi. Ma la richiesta di cibo è in costante aumento.
Uno dei casi descritti dall'autore dell'articolo è quello della Cina e della carne di maiale: fino alla svolta liberista di Xiaoping, una famiglia comunemente allevava un maiale che veniva ucciso a capodanno e consumato per l'intero anno (esattamente come da noi qualche generazione fa), oggi il consumo pro-capite di carne di maiale in Cina è di 34 kg l'anno. 
Dopo Tienanmen il governo ha offerto sgravi fiscali alle aziende agricole per allevare bestie in maniera intensiva e soddisfare la domanda crescente. La carne di maiale è il simbolo del benessere a tavola per i cinesi, che continuano a richiederne sempre di più, facendo precipitare la situazione nel paradosso: mangiare carne è un modo inefficace di nutrirsi perché per ottenere dalla carne di maiale la stessa quantità di calorie fornite da un chilo di cereali, occorre dare da mangiare alla bestia un quantitativo pari a 5 chili di cereali e legumi. Non potendo procurarsi da sé questo quantitativo di mangime, la Cina importa enormi quantità di soia dal Brasile, il quale si è convertito alla monocoltura di questo legume asiatico a danno di sempre più vaste regioni della foresta pluviale. I terreni convertiti a monocultura non possono produrre intensamente per sempre; nel Punjab la Rivoluzione Verde ha sfamato l'intera popolazione indiana per vent'anni, sacrificando però la terra e i contadini che ne sono stati gli artefici; non diversamente è andata nel Midwest americano.
Gli ottimisti della crescita sostengono che gli scenari catastrofici sono causati dall'abuso e che un piccolo sacrificio possa giustificare la salvezza di molti, in oppositum si pensa che si dovrebbe uscire dalle dinamiche globali e coltivare localmente con attenzione per le risorse e le capacità delle singole regioni. 
Malthus non piace perché è il volto del limite, del controllo sulle risorse che si credono infinite. La popolazione aumenta, la richiesta di cibo anche, tutti vogliono avere le stesse opportunità individuali e così si produce sempre più intensamente, accelerando i cicli produttivi con concimi chimici e fertilizzanti. La conseguenza ovvia è la perdita di fertilità del terreno, l'inquinamento delle falde e l'avvelenamento della popolazione. Questo è ciò che già conosciamo, quello che non sappiamo è che le risorse e l'acqua dolce per sostenere questo ritmo iniziano a scarseggiare, divenendo in molte regioni del mondo una vera e propria emergenza umanitaria.
Ma Malthus non piace, in fondo non è mai piaciuto, perché ci rinfaccia il fatto che non vogliamo mai imparare la lezione e preferiamo aspettare il momento in cui il cibo mancherà a noi per iniziare a disperarsi. 



mercoledì 5 febbraio 2014

Henry David Thoreau - Walden, ovvero vita nei boschi

Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto.

Henry D. Thoreau è uno dei padri del Trascendentalismo americano, una figura basilare del Rinascimento letterario di Boston, un pilastro del sentimento anti-mercantilistico del primo Ottocento e in Italia, ad oggi, un personaggio praticamente sconosciuto. La fama arriva postuma con la pubblicazione di Walden, un diario che racconta la sua esperienza di isolamento per due anni nei boschi ai margini di Concord.
Walden, innanzitutto, è un luogo reale, un lago sulle cui rive Thoreau si trasferisce, vi costruisce una baracca di legno con materiali di scarto e vi decide di sperimentare la lezione trascendentalista dell'amico Ralph Waldo Emerson. Vuole rapportarsi con una piccola fetta di mondo per ricercare la Volontà unica che regola il tutto; Walden diventa una finestra sull'anima della terra e lo specchio in cui ritrovare se stessi.
L'isolamento ha anche un lato pratico che è quello di dedicarsi alla scrittura e fuggire dai doveri della città. Concord è l'emblema dell'amore per il superfluo, nonché centro strategico di supporto per la guerra espansionistica in Messico. Thoreau che è un pacifista convinto e che si schiera contro ogni forma di ingiustizia, crede che la riflessione e la parola siano fondamentali per combattere le prepotenze; non a caso Ghandi sarà un suo appassionato lettore.
Affinchè l'esperienza di Walden non sia speculazione astratta, Thoreau decide di vivere nella povertà e nella fatica del quotidiano, coltivando un orto che gli permette di sostenersi. Nella sua riflessione c'è un rifiuto totale del male, che identifica nello sfruttamento delle risorse, nello spreco e nella schiavitù; persegue il sogno di una società più giusta che migliori l'individuo, ma la cosa non può avvenire se le fondamenta di tale società sono innaturali e corrotte.
L'obbiettivo principale dei suoi attacchi è il potere pubblico che non incoraggia il sapere, anestetizza i cervelli e persegue come fine ultimo il guadagno monetario che avvantaggia i pochi che lo detengono. Thoreau è un nemico del superfluo e del gusto architettonico del bello; l'unica bellezza che percepisce come pura è quella fruibile nella contemplazione della natura. Il cielo stellato diventa per lui l'unico tetto che un uomo debba mai desiderare.
Quella che Thoreau sperimenta è l'arte della vita, un percorso di crescita individuale che lo gratifica e lo avvicina alla sua esigenza spirituale, ma non è il sentiero adatto a tutti; ognuno deve cercare la propria strada con un atto di coraggio, riscoprendo se stesso e ricercando il Vero.
L'atto di coltivare la terra è il messaggio ultimo che lascia come eredità, una parabola agli uomini. I buoni semi danno buoni frutti e solo il tempo può portarli alla giusta maturazione; significa che solo l'impegno nella vita e nelle difficoltà, la lotta pacifica contro l'ingiustizia e la ricerca spirituale del Vero, devono portare all'annientamento dell'individualismo e del vuoto che ne consegue. 
Oggi il lago di Walden è diventato un luogo letterario con tutto ciò che ne consegue: visite guidate, souvenir, sentieri e una baracca ricostruita. Una vita esemplare è stata fagocitata dalle logiche di mercato, come accade sempre per ogni cosa; tutto ha valore economico, ma quella di Thoreau resta una testimonianza che travalica tutta questa pochezza. 


Poche righe non possono rendere merito ad un personaggio di tale spessore. Thoreau va letto e riscoperto anche in altri scritti quali Camminare e Disobbedienza civile. Se la corrente di questo mondo scorre sempre in un'unica direzione, ci sono individui che provano a modificarne il corso e se fossero in numero sufficiente, ci potrebbero riuscire.



martedì 28 gennaio 2014

Serge Latouche - La scommessa della decrescita

Serge Latouche, oltre che economista e filosofo, è un saggista che spacca la critica.
Come antagonista della Religione della crescita e di tutte le estremizzazioni del sistema economico occidentale, il suo nome compare spesso accanto alla parola Decrescita, un movimento che sta acquisendo grande visibilità a livello internazionale. Per quanto si sia in sintonia o meno con il suo pensiero, La scommessa della decrescita, offre spunti interessanti sulla condizione della società moderna e la sua ineluttabile natura economica.

Latouche apre il saggio parlando di Religione della crescita; una dimensione in cui si è felici quando i Media annunciano la ripresa americana o asiatica con toni trionfalistici, mentre ci si angoscia quando le notizie economiche non sono incoraggianti. Una cosa che conosciamo bene in Italia, dove l'andamento dello Spread, da un paio di anni, è diventato un argomento quotidiano di conversazione.
In una società che ci aggiorna quotidianamente sulla ripresa dei consumi e sul numero di disoccupati, parlare di decrescita diventa un argomento critico perché urta la sensibilità di chi beneficia dei vantaggi di questo sistema e di chi desidererebbe accedervi e non può. Eppure quello della decrescita è un argomento di stretta attualità perché incrocia le problematiche sociali a quelle ambientali, cercando di delineare una prospettiva realizzabile di cambiamento sociale attraverso l'impegno e la reciprocità. 
Latouche per spiegare il disequilibrio sociale cita le parole del diplomatico iraniano Majid Rahnema: "una società incapace di permettere alla maggioranza dei suoi membri di guadagnarsi da vivere con un lavoro onesto e che li condanna, per poter sopravvivere, ad agire contro la propria coscienza facendone dei complici della banalità del male, è una società profondamente in crisi".
Per Latouche la decrescita non vuole essere un ritorno al passato, ma un adeguamento delle nuove tecnologie alla sostenibilità mondiale; la proposta è quella di sostituire il proprio stile di vita con uno meno stressante; lavorando, producendo e consumando meno, in modo da rallentare la folle corsa dell'ultra-consumismo. Si devono utilizzare con sapienza le tecnologie per non scadere nel paradosso di Jevons, secondo cui, le tecnologie efficaci hanno come risultato un aumento esponenziale dei consumi (emblematico è il boom demografico dell'epoca termo-industriale che ha decuplicato la popolazione mondiale da 600 milioni a 6 miliardi di individui, per mezzo dell'energia "abbondante" e a buon mercato).
La società proposta da Latouche deve attraversare una rivoluzione culturale che contrasti le armi della manipolazione mediatica e dell'educazione al consumismo quotidiano, che sono una droga e non una scelta individuale.
La rivoluzione deve basarsi sulla convivialità tra individui, sull'autonomia produttiva e sulla sobrietà, per costruire il buon senso del domani, dato che il buon senso di ieri non è adattabile all'oggi. Nella pratica questo messaggio si traduce nella ri-localizzazione delle attività per abbattere costi e trasporti, nella riduzione dei consumi non indispensabili, nel riutilizzo e nel riciclo di quanto viene prodotto dalla attività umana, ma soprattutto nella reciprocità.
Infine Latouche spiega che questa rivoluzione non va imposta nella testa dei figli, ma mostrata e insegnata, riponendo fiducia in loro, affinché siano loro a trovare la strada.

Quella di Latouche è una bella utopia, e anche se lontana dalla realizzazione, traccia un percorso alternativo a cui in molti stanno aderendo con azioni concrete. La consapevolezza dell'assurdità di certe logiche di consumo diventa il primo passo verso un cambiamento individuale e sociale.


martedì 21 gennaio 2014

Waste Land - film-documentario

Waste Land 

Lucy Walker dirige un documentario senza copione; il cui protagonista, il famoso artista brasiliano Vik Muniz, perde il ruolo assoluto per essere fagocitato dal processo creativo stesso. Il risultato finale è molto suggestivo, come il moderno Marat dell'immagine di copertina, che muore nell'asfissia di un mondo senz'aria.


Muniz doveva recarsi in Brasile per documentare il processo creativo che contraddistingue il suo lavoro: dare vita all'inanimato, in questo caso i rifiuti. Così ha lasciato i suoi agi, la sua bella casa e le promesse della società americana che lo ha adottato ed è entrato nella più grande discarica del mondo: Jardim Gramacho. Ed è qui che l'obbiettivo della telecamera si sposta verso i protagonisti del racconto: i catadores, gli ultimi della società brasiliana. In migliaia vagano senza sosta tra le dune di rifiuti della discarica alle porte di Rio de Janeiro, per soddisfare la richiesta giornaliera di materiali che possano essere riciclati. Il compenso è misero, ma è l'unica fonte di reddito per le persone che vi lavorano. Così, chi nasce a Jardim Gramacho vi trascorre tutta la vita, spegnendosi a poco a poco tra l'odore e le esalazioni tossiche, nella completa indifferenza del governo.

E' uno dei tanti racconti degli invisibili che popolano le periferie delle megalopoli di tutto il mondo, e da invisibili non hanno peso nelle storie dei vincitori. Eppure il progetto di realizzare arte con i rifiuti della società brasiliana inizia a smuovere l'animo di Muniz stesso che si lascia impressionare dalla vitalità e dalla gioia dei catadores. Impara che gli oggetti gettati con indifferenza hanno una seconda vita ben più importante, come i libri raccolti da Zumbi e accuratamente riposti in una biblioteca di lamiera. Tiao, presidente della cooperativa dei catadores, reinterpreta le pagine de Il principe a Muniz, affermando che la società brasiliana odierna non è molto distante da quella imbellettata del Rinascimento e che migliaia di chilometri e cinquecento anni non sono misure così impressionanti dopotutto.
Ma questo è anche un racconto di gioia e la sofferenza che si respira non è intrisa dell'angoscia occidentale, i drammi che hanno alle spalle i catadores sono tremendi, eppure non c'è spazio per la retorica buonista. 
Jardim Gramacho è poco distante dall'opulenza di Rio, ma è invisibile ai suoi occhi. E' un ventre enorme che divora gli errori dell'uomo nel silenzio; si contrae fino ad esplodere, ma non perde mai la propria voracità.
Così dall'indifferenza di un paese nasce un luogo nuovo: Waste Land che inizia a delineare una propria geografia, una micro-società, delle dinamiche inedite e dei diritti. Perché è ciclico che l'iniziativa parta sempre dagli ultimi e da chi non ha niente da perdere. La rassegnazione è per chi ha già tutto e non vuole più nulla.



venerdì 17 gennaio 2014

Raj Patel - I padroni del cibo

Raj Patel - I padroni del cibo


Raj Patel è un personaggio indiscutibilmente affascinante. Persona di grande spessore e cultura, Patel ha lavorato per la Banca mondiale e per il Wto, prima di impegnarsi contro queste stesse organizzazioni e le loro controverse politiche economiche.


Questo saggio è indispensabile per farsi un'idea concreta della situazione economica globale e di come tecnocrati e banchieri promuovano la nascita di poli di produzione agricola nei cosiddetti "paesi emergenti", mettendoli in continua competizione tra loro, in un gioco al ribasso, per produrre di più, ad un prezzo sempre minore. Una guerra tra poveri con conseguenze drammatiche. Se la Nestlè nel 2005 ha fatturato 70 miliardi di dollari in beni alimentari, lo deve anche alle sue politiche d'importazione delle materie prime, che le permettono di rivendere il caffè al chilo, ad un prezzo maggiorato di duecento volte rispetto alla cifra pagata ai produttori. Se l'Uganda ha problemi a sostenere la richiesta, nessun problema, basta finanziare la produzione in Vietnam e trasformare quest'ultima in uno dei più grandi produttori al mondo.
Le azioni illegali e speculative, citate da Patel, condizionano tutt'oggi le economie agricole del globo, stravolgendo la condizione di vita di milioni di persone. L'India è un esempio calzante; il colonialismo britannico ha devastato il sistema di mutua assistenza che vigeva tra proprietari terrieri e contadini, i quali avevano diritto ad una parte delle scorte alimentari negli anni di magra. Per non parlare della Rivoluzione Verde che ha originato una conseguente Involuzione Verde che, negli anni '80, ha spinto masse di contadini espropriati a togliersi la vita, avvelenandosi con i prodotti chimici provenienti dall'America. 
Patel è sempre lucido e distaccato quando racconta queste brutalità, eppure lo fa con grande efficacia. Non parla di cospirazioni e società segrete, ma di storia e politica; attraverso fatti documentati e ormai ben noti. Sono le politiche americane del secondo dopoguerra ad aver convogliato la storia globale in un'unica direzione ed aver permesso ad un'unica nazione di dominare il mondo per sessant'anni.
Ad oggi il 40% del commercio alimentare mondiale è controllato dalle multinazionali che, a seguito del boom demografico dell'ultimo mezzo secolo, vogliono accelerare sulla cosiddetta Seconda Rivoluzione Verde, fondata sulla genetica. Si vuole produrre molto di più, anche in condizioni proibitive. Ovviamente la Mission delle multinazionali è quella di trarre grande profitto dalle loro azioni, quindi va chiarito che un surplus alimentare non porterà ad una equa redistribuzione, ma ad una rete sempre più vasta di scambi commerciali globali. Esattamente come la prima Rivoluzione Verde, la seconda sta avendo ripercussioni ambientali molto gravi, ma questa cosa poco importa ai governi corrotti.
In sintesi, il saggio di Patel è un'amara visione di cosa voglia dire globalità economica; una stretta correlazione tra consumi e produzione, di come i primi sono spesso influenzati per adeguarsi alle azioni speculative. 
Il libro è estremamente interessante ed attuale, senza mai scadere nel banale e nel  giudizio soggettivo. Appassionante e scritto in maniera chiara, anche per chi non mastica nulla di economia, il saggio prova a darci una lezione di consapevolezza ed alcuni consigli pratici. Sostenere le etichette Fair Trade, cambiare i nostri gusti dove possibile, mangiare locale e stagionale, comprare agro-ecologico, produrre bio-diversificato, per rendere fertile la terra e non inquinarla. Fondamentale poi tutelare il fattore umano.

Consiglio vivamente la lettura per approfondire le numerose tematiche geo-politiche e storiche affrontate dall'autore e per avere un'immagine più chiara sulla natura umana.     
   

giovedì 16 gennaio 2014

Una piccola finestra affacciata sul mondo...


Questa piccola finestra affacciata sul mondo vuole parlare di Ecologia ed Ambientalismo, con l'intento di abbandonare le numerose strade già battute, alla ricerca di un sentiero poco conosciuto, ma ricco di suggestioni ed immagini. 
Tralasciati i consigli pratici su come pulire i vetri di casa o cucinare il riso in 10 modi alternativi, questo blog vuole trattare di libri che hanno molto da insegnare ad ognuno di noi. Con recensioni personali di testi di narrativa e di saggistica, mi auguro di instillare, in chi ne abbia voglia, la scintilla della curiosità verso questi scritti. 
Sono fortemente convinto che il percorso più importante che l'uomo deve intraprendere, per salvare il mondo dal disastro, va ricercato nel suo stesso io, per questo si devono indirizzare e formare le persone alla consapevolezza di quello che siamo e di cosa facciamo a noi e agli altri.
Se l'individualismo è il principale prodotto di questa società malata, l'individualismo morale promosso da Tzvetan Todorov può essere la medicina più efficace.

Buona lettura...