In questo mondo sempre più interconnesso, la marcia della civilizzazione globale sembra non conoscere pausa. Ogni segno di rallentamento, che può essere causato da una calamità naturale, diventa una sciagura perché rallenta la spinta economica. Così è per la produzione alimentare che non può e non deve conoscere sosta.
L'articolo pubblicato su National Geographic cinque anni fa ricorda che la domanda di cibo globale sta superando l'offerta, soprattutto in quelle regioni in cui il 50-70 % del reddito viene speso per la sussistenza quotidiana.
Il cibo ha da sempre accompagnato la storia dell'uomo, sia quando ne ha promosso lo sviluppo sociale, sia quando ne ha decretato il declino.
Benessere perseguibile e realizzabile a tutti i costi o austerity e controllo sulle risorse? Questa domanda ruota attorno al pomo della discordia che prende il nome di Malthus, pastore anglicano e matematico che, scontrandosi contro la fiducia illuminista della sua epoca, ammoniva che, in assenza di controlli positivi o preventivi, la popolazione cresceva esponenzialmente rispetto alla produzione agricola (la prima cresceva geometricamente, la seconda aritmeticamente). Con il Saggio sul principio di popolazione del 1798, Malthus professava come fosse indispensabile il controllo sulla crescita della popolazione per scongiurare le future difficoltà nella sussistenza. Il suo pensiero viene duramente colpito e travolto dalla Rivoluzione Industriale e dal Positivismo che ne spazza via le teorie. Col Novecento e la Rivoluzione Verde, Malthus, oltre che inattuale, diventa un fantoccio che aveva paventato un destino impossibile per l'umanità.
Eppure, duecento anni dopo e con sei miliardi di abitanti in più sulla terra la sua figura aleggia ancora nei discorsi degli economisti. La produzione alimentare è sempre stata in crescita da allora, le tecniche e le innovazioni hanno portato a risultati sorprendenti, accelerando la produzione a ritmi vertiginosi. Ma la richiesta di cibo è in costante aumento.
Uno dei casi descritti dall'autore dell'articolo è quello della Cina e della carne di maiale: fino alla svolta liberista di Xiaoping, una famiglia comunemente allevava un maiale che veniva ucciso a capodanno e consumato per l'intero anno (esattamente come da noi qualche generazione fa), oggi il consumo pro-capite di carne di maiale in Cina è di 34 kg l'anno.
Dopo Tienanmen il governo ha offerto sgravi fiscali alle aziende agricole per allevare bestie in maniera intensiva e soddisfare la domanda crescente. La carne di maiale è il simbolo del benessere a tavola per i cinesi, che continuano a richiederne sempre di più, facendo precipitare la situazione nel paradosso: mangiare carne è un modo inefficace di nutrirsi perché per ottenere dalla carne di maiale la stessa quantità di calorie fornite da un chilo di cereali, occorre dare da mangiare alla bestia un quantitativo pari a 5 chili di cereali e legumi. Non potendo procurarsi da sé questo quantitativo di mangime, la Cina importa enormi quantità di soia dal Brasile, il quale si è convertito alla monocoltura di questo legume asiatico a danno di sempre più vaste regioni della foresta pluviale. I terreni convertiti a monocultura non possono produrre intensamente per sempre; nel Punjab la Rivoluzione Verde ha sfamato l'intera popolazione indiana per vent'anni, sacrificando però la terra e i contadini che ne sono stati gli artefici; non diversamente è andata nel Midwest americano.
Gli ottimisti della crescita sostengono che gli scenari catastrofici sono causati dall'abuso e che un piccolo sacrificio possa giustificare la salvezza di molti, in oppositum si pensa che si dovrebbe uscire dalle dinamiche globali e coltivare localmente con attenzione per le risorse e le capacità delle singole regioni.
Malthus non piace perché è il volto del limite, del controllo sulle risorse che si credono infinite. La popolazione aumenta, la richiesta di cibo anche, tutti vogliono avere le stesse opportunità individuali e così si produce sempre più intensamente, accelerando i cicli produttivi con concimi chimici e fertilizzanti. La conseguenza ovvia è la perdita di fertilità del terreno, l'inquinamento delle falde e l'avvelenamento della popolazione. Questo è ciò che già conosciamo, quello che non sappiamo è che le risorse e l'acqua dolce per sostenere questo ritmo iniziano a scarseggiare, divenendo in molte regioni del mondo una vera e propria emergenza umanitaria.
Ma Malthus non piace, in fondo non è mai piaciuto, perché ci rinfaccia il fatto che non vogliamo mai imparare la lezione e preferiamo aspettare il momento in cui il cibo mancherà a noi per iniziare a disperarsi.
Benessere perseguibile e realizzabile a tutti i costi o austerity e controllo sulle risorse? Questa domanda ruota attorno al pomo della discordia che prende il nome di Malthus, pastore anglicano e matematico che, scontrandosi contro la fiducia illuminista della sua epoca, ammoniva che, in assenza di controlli positivi o preventivi, la popolazione cresceva esponenzialmente rispetto alla produzione agricola (la prima cresceva geometricamente, la seconda aritmeticamente). Con il Saggio sul principio di popolazione del 1798, Malthus professava come fosse indispensabile il controllo sulla crescita della popolazione per scongiurare le future difficoltà nella sussistenza. Il suo pensiero viene duramente colpito e travolto dalla Rivoluzione Industriale e dal Positivismo che ne spazza via le teorie. Col Novecento e la Rivoluzione Verde, Malthus, oltre che inattuale, diventa un fantoccio che aveva paventato un destino impossibile per l'umanità.
Eppure, duecento anni dopo e con sei miliardi di abitanti in più sulla terra la sua figura aleggia ancora nei discorsi degli economisti. La produzione alimentare è sempre stata in crescita da allora, le tecniche e le innovazioni hanno portato a risultati sorprendenti, accelerando la produzione a ritmi vertiginosi. Ma la richiesta di cibo è in costante aumento.
Uno dei casi descritti dall'autore dell'articolo è quello della Cina e della carne di maiale: fino alla svolta liberista di Xiaoping, una famiglia comunemente allevava un maiale che veniva ucciso a capodanno e consumato per l'intero anno (esattamente come da noi qualche generazione fa), oggi il consumo pro-capite di carne di maiale in Cina è di 34 kg l'anno.
Dopo Tienanmen il governo ha offerto sgravi fiscali alle aziende agricole per allevare bestie in maniera intensiva e soddisfare la domanda crescente. La carne di maiale è il simbolo del benessere a tavola per i cinesi, che continuano a richiederne sempre di più, facendo precipitare la situazione nel paradosso: mangiare carne è un modo inefficace di nutrirsi perché per ottenere dalla carne di maiale la stessa quantità di calorie fornite da un chilo di cereali, occorre dare da mangiare alla bestia un quantitativo pari a 5 chili di cereali e legumi. Non potendo procurarsi da sé questo quantitativo di mangime, la Cina importa enormi quantità di soia dal Brasile, il quale si è convertito alla monocoltura di questo legume asiatico a danno di sempre più vaste regioni della foresta pluviale. I terreni convertiti a monocultura non possono produrre intensamente per sempre; nel Punjab la Rivoluzione Verde ha sfamato l'intera popolazione indiana per vent'anni, sacrificando però la terra e i contadini che ne sono stati gli artefici; non diversamente è andata nel Midwest americano.
Gli ottimisti della crescita sostengono che gli scenari catastrofici sono causati dall'abuso e che un piccolo sacrificio possa giustificare la salvezza di molti, in oppositum si pensa che si dovrebbe uscire dalle dinamiche globali e coltivare localmente con attenzione per le risorse e le capacità delle singole regioni.
Malthus non piace perché è il volto del limite, del controllo sulle risorse che si credono infinite. La popolazione aumenta, la richiesta di cibo anche, tutti vogliono avere le stesse opportunità individuali e così si produce sempre più intensamente, accelerando i cicli produttivi con concimi chimici e fertilizzanti. La conseguenza ovvia è la perdita di fertilità del terreno, l'inquinamento delle falde e l'avvelenamento della popolazione. Questo è ciò che già conosciamo, quello che non sappiamo è che le risorse e l'acqua dolce per sostenere questo ritmo iniziano a scarseggiare, divenendo in molte regioni del mondo una vera e propria emergenza umanitaria.
Ma Malthus non piace, in fondo non è mai piaciuto, perché ci rinfaccia il fatto che non vogliamo mai imparare la lezione e preferiamo aspettare il momento in cui il cibo mancherà a noi per iniziare a disperarsi.